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La Grotte de San Vivenzio

Gli antichi affreschi recentemente rinvenuti nella grotta-santuario (Cripta) di S. Vivenzio a Norchia (enclave del piccolo comune di Blera in territorio viterbese) impongono una stimolante attenzione. I circa 12 mq di superficie coperti dalle pitture sono organizzati in riquadri diversi che vedono raffigurati la Vergine Annunciata in trono tra l'angelo annunciante e una figura femminile stante coronata, e un breve ciclo micaelico incentrato sul miracolo garganico con l'angelo in forma di toro aureolato. Purtroppo l'intero ciclo pittorico è in precarie condizioni di conservazione sia per le peculiarità del sito che per la secolare frequentazione della grotta che ha comportato successivi interventi di ampliamento.
Gli affreschi eseguiti in una fase a cavallo tra i secoli XII e XIII, pregevolissima espressione della migliore pittura romana coeva, sollevano una complessa problematica sia sul piano iconografico che iconologico: la Vergine e la figura che l'affianca presentano evidenti ed ostentati segni gravidici. Nel complesso decorativo della grotta non pare, quindi, trovare posto l'attuale genius loci del santuario. Il documento iconografico della grotta di Norchia esprime la traduzione in termini simbolici di una ideologia religiosa strettamente ancorata, nell'ambito di una società vincolata a forme organizzative di tipo rurale, ad una economia culturale di tipo magico-sacrale il cui modello devozionale non conosce soluzione di continuità. La sollecitazione iconica, nel contesto di una realtà storicamente contrassegnata da una cruda precarietà esistenziale, assume una connotazione di sèrvizio protettivo veicolando immagini rassicurative. Ed è in tale accezione di "figura rassicurante" che si propone la Virgo paritura della grotta di Norchia. La sua immagine, travalicando ogni portata dei contenuti artistici e dei valori estetici, si propone in funzione di garanzia protettiva.
Rimane aperto il problema dell'obliterazione delle figure mediante una radicale scialbatura da datare intorno alla seconda metà del XVI secolo. E' di questo periodo il primo documento che pone in diretta relazione il culto di s. Vivenzio con il santuario rupestre di Norchia: una lapide marmorea datata 1566 posta su un lacerto di muratura più antica inglobata nella moderna costruzione realizzata agli inizi del nostro secolo. Vari e importanti interventi sono stati operati nell'ipogeo allo scopo di adeguare alla devozione vivenziana tutto il complesso che, nella forma precedente, conservava inequivocabili elementi del culto mariano e di s. Michele Arcangelo. L'obliterazione delle antiche immagini, malamente corrispondenti ai nuovi criteri di decoro post tridentini, è conseguenza dell'opposizione tenace della Chiesa ad immagini o a forme rituali caratterizzate spesso da persistenze ideologiche precristiane non completamente debellate, specie nelle campagne, dalla sovrapposizione di nuove figure cristiane.
Peraltro anche nel complesso dei rituali della devozione a S. Vivenzio, il santo patrono nella cui figura si è prolungata la potenza ierofanica del luogo, traspaiono vari segni riferibili a più antiche forme cultuali. Di particolare rilevanza appare l'atto, carico di valenze simboliche, dell'asportazione di un frammento di tufo dallo spazio sacro della grotta, un gesto rispondente ad una ideologia di rassicurazione da ricondurre ad antiche pratiche di terapia litica. Tale rituale lirico rappresenta il residuo di un antico costume portatore diun codice simbolico da intendere in stretto rapporto con una figura di divinità ausiliatrice precristiana confluito poi nel culto della Vergine Madre e di s. Michele, testimoniato dal documento iconografico della Virgo paritura e del ciclo micaelitico. Rituale ereditato, infine, dal sistema devozionale del culto di S. Vivenzio, a soddisfazione di esigenze psicologiche profonde ancora oggi vive e documentate dalla dovizia di ex voto rappresentati sia da modeste tavolette dipinte che da numerosi oggetti personali, fotografie e cuori argentei.

 

Il Sacro Alfiere Luciano I